Dove mi trovo? In un parcheggio, ad un concerto anni ’70, chiusa in un mobiletto del bagno pieno di pillole, in un puzzle, oppure in una bolla di plastica. Mi trovo ovunque. Io sono ovunque questa sera. Sperimentare è il mio imperativo categorico.
Thomas Bee, l’artista che sto osservando, tra le mani possiede l’arte, quell’arte in grado di sperimentare un nuovo linguaggio, un nuovo modo di parlare, che non sia scontato, banale ma nemmeno perentorio. Il mio primo passo s’imbatte in tessere per il parcheggio, sì proprio quelle, i “gratta e sosta”. Le guardo bene e noto che ci sono immagini dietro quella pellicola che solitamente grattiamo via per indicare quanto sostiamo in città. Incastrate lì dentro ci sono icone che rappresentano il contrasto della nostra mobilità: il tempo e il movimento, lo stop e l’andare, la sosta e l’azione. Pazzesco, c’è un uomo in bicicletta, ci sono pesci, alberi e chissà cos’altro. Certo che la mia città è davvero bella vista da quì!
Faccio due passi indietro, e da un parcheggio mi ritrovo in quel mobiletto del bagno pieno di pillole: pillole che non curano il mio stress (psico-fisico a questo punto), ma che sono un mezzo per disegnare un volto, un’emozione, una scenografia della vita umana, pillole applicate a tele che costruiscono il viso di Marylin, il logo della Lego, o forse del proprio Ego.
Ed ecco che un po’ “stonata”, vedo più avanti un enorme puzzle, e io ne sono un tassello, mi giro e mi ritrovo ad essere una cannuccia, sì, proprio una cannuccia. Una di quelle con cui negli anni ’90 sorseggiavamo la CocaCola, una cannuccia colorata in una teca di plexiglass. Se mi allontano leggermente vedo le ombre dell’immagine disegnata lì dentro, se mi avvicino ne vedo il suo netto profilo. L’insieme dei colori crea una donna: è Kate Moss.
2 passi indietro e puff, eccomi in una bolla di plastica. E non sono da sola, ci sono molte persone con me, quelle che non riescono a parlare con chi hanno al loro fianco, quelle persone che creano un muro tra sé e gli altri. Sono opere in pluriball. In pluriball, sì. In una ci sono tanti omini di plastica, che rappresentano noi, noi anime vaganti della città silenziosa, noi che guardiamo noi, senza curarci di altro. E poi pluriball minuziosamente colorati che mi fanno sentire invece ad un concerto di immagini, guarda lì c’è il volto di Che Guevara, di Andy Warhol, di Basquiat e di Jimi Hendrix.
Lo stupore continua.
All’art for interior gallery di Milano fino al 15 gennaio toccate il ready-made di Duchamp, il collage, l’assemblage futurista, tutto lì dentro è riuscito alla perfezione tra ironia, stravaganza e arte Pop. Una mostra interessante, costruttiva, provocatoria e semplicemente disarmante.
di Erika Fabiano
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