Che Salvador Dalì, maestro del Surrealismo, il cui nome completo è Felipe Jacinto fosse uno spirito altamente sottile, beffardo nonché fortemente irriverente, lo sappiamo tutti e quindi la curiosità nel veder la mostra “The Dalì Universe a Firenze” in quel di Palazzo Medici Riccardi è forte, poiché tal ‘spagnolito’ dallo sguardo spiritato, con tanto di ‘mezzi’ baffetti diavoleschi, intriga non poco.
Nelle grandi stanze si ammirano opere poco conosciute, con oggettistica varia in vetro, sculture bronzee, raccolte grafiche illustranti tematiche importanti sulla letteratura, nonché numerosi collages. Particolare la scultura tridimensionale di cui solamente il maestro catalano e’ artefice e in questo rivela la sua genialità. Leggerezza. Questa è la parola chiave per entrare nel mondo surreale che amava veder librare l’oggetto pensato e poi creato, lontano dalle forze di gravità, per il puro piacere di reinventarsi nonostante – parole sue – il tirannico impatto dello spazio.
Nato nel 1904 e morto nel 1989, dopo il periodo iniziale ispirato alla pittura metafisica di De Chirico e Carrà, prese contatto qualche anno dopo con Picasso, Breton, abbracciando la corrente di quel tempo, densa di suggestioni psicoanalitiche, oniriche, in cui trovava altamente spazio anche la morbosità. E’ nel 1934 che egli si volge ad altre tecniche, verso quel realismo classicheggiante nonché virtuosistico. Un’arte, la sua, che si contraddistingueva per particolari disegni nei confronti di mobili e gioielli in cui si intravedono varie simbologie che spaziano dalla storia, alla mitologia, alla religione.
In lui era particolarmente forte l’allegoria ed è piacevole osservare l’immagine tratta da “Il Marchese de Sade” e quella del Decamerone, soffermandosi su quella scultura di foglia simbolo del tempo che tanto richiama la sinuosità del serpente. Il divano rouge come la passione, come l’amore, intriga talmente tanto che vien voglia di appoggiarcisi sopra, notando le curve perfette della labbra, capaci di rimandar alla bocca di Mae West. L’eclettico artista autore tra l’altro di illustrazioni varie cui La Bibbia, La Divina Commedia, Don Chisciotte ed altro, collaborò alla sceneggiatura per il grande regista Bunuel, portando poi al Moma newyorkese opere sue particolarissime – e come non esserlo? quale La Crocifissione. Figura estremamente colta e curiosa, si appassionò non poco all’arte vetraria, creando quella singolare collaborazione “vetro e pasta di vetro sono ideali per l’espressione della metamorfosi” con la prestigiosa fabbrica francese Daum Cristallerie.
L’esposizione unica nel suo genere, curata dal Presidente della Fondazione Ambrosiana Beniamino Levi, ci porta direttamente a contatto con questo raffinato signore, profondo estimatore ‘daliano’, colui che conosceva bene l’esuberante Salvador tanto da aver frequentato assiduamente lui e il suo entourage fin dal ’60, incontrandolo personalmente non solamente nella terra dei tori – olè! – ma anche nelle residenze di New York e Parigi.
Dalì così battagliero e vitale, costruì metafore sul tempo – tutt’uno con lo spazio, non rigido, bensì fluido – e sugli orologi, tanto che la ‘mollezza’ ch’egli imprimeva in quest’ultimi riporta al simbolismo d’oggetti che disprezzava. Su questo a Palazzo Medici Riccardi è bene osservare “La persistenza della memoria del 1980” e “Profilo del tempo”
Uomo di fervida fantasia, naviga verso visioni immaginifiche scavando a più non posso. Lo fa di continuo sino ad arrivare all’essenza delle cose per farle comprendere agli altri. “Donna in fiamme”parla delle sue ossessioni quale quella del fuoco e della sensualità prettamente femminile, rappresentata nei cassetti. Freud è il suo mentore, tanto che…il cassetto è uno scrigno che raccoglie carnalità, passionalità seppur nascoste, assieme a quell’alone misterioso che il corpo della donna racchiude: le fiamme alte e brucianti, rivelano la passione intrisa in lingue di fuoco, costrette ad ardere di vita propria.
“Alice nel Paese delle Meraviglie” è una figura bronzea, minimalista, deliziosa e particolare con tutti quei bocci di rosa che fungono da capigliatura. Al posto delle mani tiene rose ‘d’oro’ e…se la tocchi, lo spirito di Dalì prende corpo sussurrando: “Il meno che si possa chiedere ad una scultura è che stia ferma”.
La mostra è visitabile sino al 25 maggio 2013: organizzata dalla Fondazione Ambrosiana per l’Arte ela Cultura, ha tra i suoi scopi principali quelli di far conoscere al grande pubblico l’opera di Salvador Dalì. Ad oggi ha organizzato più di 80 mostre nei più importanti musei del mondo: le visite hanno superato più di 10 milioni di persone.
Info: 055. 27.54.81
E’ possibile avvalersi delle visite guidate per ragazzi telefonando al: 334-105.32.62
di Carla Cavicchini
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