Qualche giorno fa a Milano presso il Superstudio Più di Via Tortona, si è concluso il puntuale appuntamento con l’arte contemporanea al di sotto dei 5.000 euro: Affordable Art Fair. E quest’anno il format internazionale, che ha visto passeggiare tra i suoi stand più di 15.000 visitatori e 80 gallerie d’arte in esposizione, ha anche compiuto 15 anni.
15 anni e con l’obiettivo di andare avanti coinvolgendo sempre più città, persone, gallerie d’arte, e amanti di questa forma di vita sulla terra. Di questo si tratta quando parliamo di arte.
Le caratteristiche principali della fiera sono accessibilità nei contenuti e nei costi, prezzi esposti e non nascosti, e tantissime occasioni di approfondimento per amatori e non. Tutti devono avvicinarsi all’arte, è il suo leitmotiv. Che poi piaccia o meno l’arte contemporanea, che poi alcuni soggetti e opere possiamo trovarli poco significativi, è una discussione talmente ampia, che non è certo questa la sede adatta per affrontarla.
È il mio secondo anno ad Affordable e ora vi racconto cos’ho provato. Entro, vengo subito accolta dalle simpatiche ragazze dell’Ufficio Stampa DOPPIOZERO. Shopper di tela, chiavetta con cartella stampa, macchina fotografica e Moleskine alla mano, mi avvio. Inizia così il viaggio tra gli artisti. Ne incontro alcuni che mi colpiscono, altri che non lo fanno, altri che hanno voglia di raccontarmi.
Matteo Bracciali, è uno di quest’ultimi, artista di Art for Interior Gallery, che insieme a Laura Angelone, mi narra delle opere del ciclo “Tokyo the end“, del suo viaggio giapponese fra Tokyo e Osaka, del suo lavoro, dei “Timbri”, e delle “Manga Geishe”. Io ne rimango completamente affascinata. Mentre parla penso: “una guerra all’ultimo timbro”. Sì, perché mi racconta che ogni fermata della metropolitana a Tokyo ha il suo timbro. Il suo timbro? Il suo marchio. Me lo dice con tutta questa naturalezza. E io penso “dare un titolo al proprio viaggio, marchiarlo, dargli un logo: cosa c’è di più innaturalmente sensazionale”?!
Faccio qualche passo in più, con in testa Tokyo (e ovviamente la voglia di partire), intanto osservo, saltello con il corpo e con le parole un po’ qui un po’ lì, gli occhi si allargano. Inciampo in Willy Rojas, brillante fotografo di Bogotá, artista del Villa Arte Galleries con i suoi “Miniature Worlds “. Non vi racconto nulla di lui, sarebbe riduttivo. Solo una domanda-provocazione: “What if the big were small and the small became big?”. Cercatelo curiosi, ne vale la pena!
Con un sorriso proseguo. E tac, eccomi rapita dalle foto di Carolina Ciuccio. Fotografa dell’84, artista della GalleriaMonteoliveto. “Black Hole” è il nome del suo progetto: 6 foto che mostrano un corpo nudo segnato da alcune zone scure. Quelle zone sono cicatrici dell’anima, sulle quali, a guardar bene, compaiono parole che danno voce al momento critico e doloroso impressionato e vissuto. Una storia personale, una storia raccontata, la voglia di fare uno stream of consciousness attraverso le immagini, attraverso un terzo occhio. Un modo per “tirar fuori”. A me, Carolina, mi ha tirata dentro, però. Nella sua emozione. E per questo la ringrazio.
Parere di AAF 2014? Sembra che ognuno degli artisti abbia seguito un unico fil rouge generale che si può sintetizzare in una parola “congelare“. Sì, congelare cose belle, momenti di vita, attimi. AAF: un buon modo per respirare aria fresca rispetto a quella della nostra quotidianità.
di Erika Fabiano
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