70 gallerie internazionali con opere d’arte dai 100 ai 5000 euro invadono il Superstudio Più di Via Tortona a Milano, sede di Affordable Art Fair da ormai tre anni. Qui si sono incontrati grandi artisti di ieri, di domani e nuovi collezionisti, con iniziative speciali e racconti di nuove tendenze nell’arte contemporanea.
Io, giovane giornalista dall’appiglio creativo e curioso, ho apprezzato molto il tema dell’affordability e della democratizzazione dell’arte che ha contraddistinto la fiera. Accessibilità dei contenuti, prezzi esposti, occasioni di scambio tra galleristi e fascinatori, creazione di nuove regole e abbattimento delle barriere, questi i concetti chiave, insieme al payoff di campagna “Get Art. Not…”, che evidenzia ironicamente come acquistare arte sia un’alternativa utile, terapeutica e possibile. Questo un contenuto interessante, ma il suo contenitore?
Passeggiando tra gli stand poche cose mi hanno affascinato, pochi contenitori, insomma. Molte domande si sono arrampicate faticosamente tra i miei neuroni, una su tutte, ma cos’è l’arte? Credo che nessuno di noi possa veramente rispondere a questa domanda, o forse tutti. Affidiamoci così alle parole di Umberto Eco: “l’opera d’arte è sempre una confessione“, di cosa, non si sa. E andiamo avanti. Respiriamo almeno l’internazionalizzazione di questo evento e lasciamoci cullare dal relax di una serata difforme dal solito, lontana dai clacson e dagli eventi mondani legati alla moda. Guardiamo il colore, il tratto, il coraggio di talenti che hanno avuto il guizzo di esprimere se stessi. In un modo o nell’altro, il giudizio, è nei nostri occhi.
Per quello che penso, in questa fiera non ho trovato arte, anzi ne ho trovato quasi l’assenza totale, ho trovato sperimentazione, ricerca, creatività, ma non emozione e rapimento del cuore. Non sono stata rapita, né trascinata nel movimento artistico, nemmeno ammaliata, in quel modo suadente e accattivante, con cui di solito vengo sedotta. Per me l’opera d’arte è come un illusionista, e in Affordable Art Fair non ho trovato illusionisti.
Ho deciso, a piccoli passi, di percorrere lo stesso quei corridoi facendo sobbalzare lo sguardo e, ahimé, lasciando il cuore indietro e la testa avanti. Eccomi catapultata in un lounge lab , una fiera dentro la fiera. È l’Affordable Art Project Design dentro l’AAF: un angolo rilassato, aperto, traspirante. Imbatto nelle opere di alcuni artisti. Johnny Hermann, colui che trasforma semplice legno in design irriverente: osservo i suoi Wooden Popsicles, ghiaccioli di legno chiaro colorati, e le sue decorazioni murali HUNKmq. Giacomo Mondini, che fa del riciclo creativo il suo tratto distintivo: marmitte floccate color fucsia che diventano oggetti portatutto e vasi per fiori. Cleto Munari, instancabile sperimentatore di combinazioni originali tra forme e materia: gli Sgabelli-Pugno, sono una chicca! Fiu. Finalmente ibridi, discrepanze, anticonformismo, divertimento, colore, alternativa. Ho ritrovato un po’ di sana gioia creativa, dopo 100 passi, un po’ di sollievo e di stupore in questa serata. Pausa per gli occhi, astrazione e armonie concettuali.
Deciso di fare quattro chiacchiere con l’artista Johnny Hermann e la sua sorridente PR, e mi illustrano “HUNKmq”: una decorazione murale in legno trattato, ispirata ai patterns moda, alla tradizione giapponese e alle geometrie anni ’70. Una decorazione declinabile in qualunque ambiente e facilmente personalizzabile. Un’idea interessante. Posso ordinare una scatola, prenderne i pezzi numerati e firmati dall’artista al suo interno, e dare tono ad un metro quadrato della mia casa o del mio ufficio. Solo io l’avrò. Secondo me è un’ottima idea. Avanguardia e innovazione.
Alla prossima edizione potrei tornarci? Sì, certo. D’altronde, non bisogna mai smettere di imparare.
di Erika Fabiano
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